Se ne parla tanto delle creme per la bellezza della pelle a base di probiotici ma la domanda è la seguente: i probiotici inseriti in una emulsione sono acquistati vivi dal fabbricante? E, qualora lo fossero, una volta mescolati con i conservanti contenuti nelle creme (inclusi gli antimicrobici), sopravvivono?

Il dibattito è ampio ed all’ordine del giorno perché l’uso dei probiotici in ambito beauty è in aumento ma non è regolamentato. Intanto un report mondiale a cura Lumina Intelligence attesta che, a gennaio dello scorso anno, in 25 paesi erano stati lanciati ben 352 prodotti di 186 brand globali diversi destinati al microbioma cutaneo. 254 sono prodotti topici, cioè da spalmare sulla pelle e 107 integratori alimentari.

Già nel 2015 una review ne dubitava l’efficacia “Essendo microorganismi viventi, ne risulta molto difficile l’incorporazione, in modo stabile e biodisponibile, in formulazioni ad uso topico” si legge nello studio, pubblicato su Monographic suppl on Skin Care (anno 2015, pp. 21-27).

I moltissimi dubbi hanno adesso spinto un gruppo di consumatori americani, con a capo la statunitense Dalit Cohen, ad affrontare la prima Class Action contro un brand che vende sieri con probiotici in tutto il mondo. Il brand è Clinique e la class action, depositata al tribunale distrettuale degli Stati Uniti,  è ancora in corso. I consumatori sostengono che il marchio pubblicizza falsamente i suoi ‘Redness Solution Cosmetics’ con ‘probiotici’ e con ‘tecnologia probiotica’ quando invece gli ingredienti in questione non sopravvivono, secondo una vasta documentazione presentata dalla Class action (qui il documento originale). Nel documento si riporta anche il grande peso economico del settore, in crescita esponenziale, si legge infatti che ‘l’industria dei cosmetici probiotici valeva 252.5 milioni di dollari nel 2019 e si stima avrà una crescita annuale del 6.5% entro il 2027″.

L’azione legale collettiva,  depositata nel marzo 2021, sostiene che i prodotti non contengono probiotici perché gli ingredienti di origine microbica assegnati alla voce “probiotico” vengono acquistati in uno stato di non sopravvivenza e che i conservanti, come prodotti chimici antimicrobici, impiegati negli stessi prodotti, renderebbero comunque inerti e quindi inutili le colture probiotiche.

La class action è in corso e l‘ultimo stato del rapporto,  datato 29 aprile 2021 indica una scadenza del 10 giugno 2021 per la risposta di Clinique.

Della notizia ne danno anche conto molti media online ed attendiamo gli sviluppi prima di trarne conclusioni ma il dibattito è di grande attualità.

Altri autori mettevano recentemente in dubbio l’efficacia dei probiotici in creme e sieri sulla rivista tecnico scientifica (peer reviewed) Cosmetics & Toiletries del mese scorso. Manca una regolamentazione sul fronte pre e probiotici e si rischia il far west di slogan e false promesse che fa male a chi invece offre prodotti onesti. “Affermazioni sul microbioma: la cura della pelle pre, pro e postbiotica dovrebbe essere regolamentata” si legge sulla rivista dove si delineano alcune importanti differenze fra ‘pre’, ‘pro’ e ‘post’ biotici e microbioma friendly:

“Sempre più cosmetici, dalla cura orale alla cura della pelle, prendono di mira il microbioma e sono commercializzati per contenere ingredienti probiotici, prebiotici o postbiotici, – si legge su Cosmetic & Toiletries. “Un probiotico è un microrganismo vitale, vivo o dormiente aggiunto a un prodotto per ottenere un beneficio cosmetico nel sito di applicazione, direttamente o tramite un effetto sul microbiota esistente. Un prebiotico è un ingrediente non vitale aggiunto a un prodotto come nutriente. È destinato all’uso da parte del microbiota sul sito di applicazione per ottenere un beneficio cosmetico. Un post-biotico è un ingrediente non vitale composto da microrganismi inattivati e/o fattori solubili, ad esempio prodotti rilasciati da microrganismi vivi o inattivati. Inoltre, vale la pena di notare che alcuni cosmetici rilevanti per il microbioma non contengono ingredienti probiotici e prebiotici. Invece, sono formulati senza alcune sostanze che potrebbero danneggiare il microbioma e sono perciò commercializzati come microbioma friendly. Questi sono senza ingredienti specifici come conservanti o solfato di laurile di sodio (SLS), ad esempio”.

Sulla rivista anche molti dubbi sollevati dalla stessa Food and Drug administration sulla questione, ancora senza risposta. Li riporto di seguito:

  • I probiotici sono ancora vivi nei cosmetici che hanno conservanti?
  • Quali sono le funzioni destinate ai probiotici nei cosmetici?
  • La presenza di probiotici influisce sulla sicurezza del prodotto?
  • C’è un effetto sulla qualità del prodotto?
  • Ci sono considerazioni speciali per la produzione di cosmetici contenenti probiotici?
  • In che modo i cosmetici contenenti microrganismi vivi possono soddisfare i limiti di contaminazione microbica esistenti?
  • La presenza di probiotici nei cosmetici influisce sulla durata di conservazione e conservazione dei prodotti?
  • In che modo i cosmetici probiotici sono regolati da altri paesi?

Mentre si cercano risposte e certificazioni autorevoli che sistemino la confusione creata nell’intero settore spunta qualche ricerca a favore dei probiotici applicati sulla pelle.

E’ recente infatti lo studio condotto alla Sorbonne Université di Parigi su creme ad azione topica contenti il Lactobacillus reuteri (microbiota intestinale) spalmate sull’avambraccio di un campione di volontari. Gli autori hanno voluto vedere il vero impatto di un probiotico sulla diversità della comunità batterica naturale della pelle. Ebbene i probiotici funzionano nel periodo di cura (durato 15 giorni). L’effetto col tempo è reversibile – si legge nell’indagine pubblicata su Microorganisms, – ma durante il periodo di trattamento questi proteggono davvero i batteri buoni del nostro corpo. Poi, giorno per giorno dall’ultima applicazione, il tasso di ‘colonizzazione’ diminuisce perché i microorganismi ‘indigeni’ riprendono a prevalere. La notizia però è che “questa nuova categoria di prodotti per la pelle possiede potenziali benefici per la salute perché interagiscono con il microbiota”. Certo, si potrebbe obiettare che lo studio è limitato a pochi casi, che andrebbe riprodotto su larga scala e che un conto è la sperimentazione con probiotici ‘freschi’ e altra cosa sono inserire tali delicati composti in sieri e creme commerciali. Mancano le prove di efficacia sui prodotti finiti, insomma.

Vedremo.